Thursday 17 April 2014

Quello che più mi manca

Non mi piacciono le definizioni categoriche, né sugli altri né su di me, ma se mi dicono che sono “una-che-non-si-accontenta-mai” hanno ragione.
Quando desidero qualcosa faccio fatica a non pensarci ardentemente e tantomeno ad arrendermi se inizialmente il mio desiderio non si avvera. E fortuna, o sfortuna dipende dai punti di vista, ha voluto che trovassi un altro come me. E nella nostra vita insieme questa è una delle rarissime cose in comune che abbiamo, ma rende tutto più semplice.

La situazione lavorativa in Italia negli ultimi anni è quella che è (non voglio infierire oltre), al tempo la precarietà stava per bussare anche alle nostre porte e la nostra famiglia aveva un gran bisogno di una sferzata di vita.
Così quando è capitata un’occasione come quella di prendere e partire per l’Australia, ci abbiamo creduto. Certo, il merito non è sicuramente mio ma del “cervello in fuga” che mi accompagna, anche se mi piace credere a quella frase famosa che dice che dietro ad ogni grande uomo c’è sempre una grande donna!
Una decisione ponderata e valutata in ogni suo aspetto, ma sembrava fin dall’inizio che tutto ci portasse a prendere quell’aereo. Nostro figlio aveva quattro anni, l’età giusta per non subire troppo il trauma del distacco dagli affetti e noi, in fondo, avevamo sempre sognato di poter vivere un’esperienza all’estero. Certo, l’Australia non è l’Inghilterra ma nessun paese è poi così lontano nell’era di internet.


I mesi che hanno preceduto la nostra partenza sono stati un’escalation di emozioni, dall’euforia (ricordo di non aver dormito per due notti dopo la firma del contratto), all’irrequietudine, alla serena consapevolezza (nel periodo del “grande trasloco”), fino ad un’umana “strizza” le ultimissime settimane che precedevano la partenza.
Salutare gli amici, organizzare pranzi e cene, incastrare le “ultime cose da fare e da vedere”, rassicurare i genitori, evitare di pensare.
Tutto ciò senza sapere cosa ci aspettava. Come un salto nel buio, ma col paracadute.
Credo che quelle emozioni rimarranno ben impresse nella mia memoria per molto molto tempo.

Così siamo qua, e sono trascorsi oltre sei mesi da quando siamo scesi da quell’aereo. E allora ripenso all’Italia, ai suoi colori e ai suoi profumi. Agli orizzonti, ai fiumi, all’architettura, alle facce, le piazze.
E quando mi chiedono se mi manca “casa” non so mai cosa rispondere. Mancano gli affetti, ma per fortuna esiste Skype. E poi mancano gli attimi, le abitudini, gli scenari di vita che qui non ci sono. Ce ne sono altri, a volte anche più belli, ma non saranno mai quelli di “casa”.


Aver sempre vissuto, più o meno dall’età di 20 anni, distante dalla città in cui sono nata e dove vive la mia famiglia di origine, mi aiuta a gestire la lontananza con razionalità.
Sono abituata a dover scendere a compromessi, alla naturale e sana solitudine che la lontananza comporta. E ormai fa parte di me e del mio carattere.

Ma cosa mi manca esattamente?
Cerco di non pensarci spesso, ho imparato presto a non farlo. Ma visto che la data della nostra visita in Italia si avvicina sempre di più cedo alla tentazione..

La vista dalle colline faentine
La libertà di poter fare una chiacchierata al telefono con chi voglio quando ne ho voglia
Il pasticcio della mamma e i tortellini della suocera  (per par condicio ;)
L’aperitivo veneto
La libertà di poter prendere la macchina o il treno e dopo un’ora essere già in un nuovo scenario
Fare il bagno in mare
La domenica dopo pranzo
Entrare in un negozio e desiderare di portarmi via la metà dei capi esposti
Il cinema in italiano
Il toast della zestea
 

In questa lista non ci sono le persone, gli abbracci, gli sguardi perché li tengo con me, e so che quando li ritroverò sarà come quando li ho lasciati.

Ps. So che potrebbe sembrare un post nostalgico, ma non lo è, quello lo scriverò quando avrò il coraggio di aprire il piccolo quaderno-ricordo che i nostri amici ci hanno scritto durante la festa d'addio..


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